venerdì 9 dicembre 2011

libertà assoluta, mentre le vacche pascolano

Continuo con la riproposizione di ricordi sconclusionati

Fra i ricordi più belli della mia vita ci sono le estati passate nei boschi e nelle radure portando al pascolo le vacche;  questo era un compito  affidato ai ragazzi.
Si partiva verso le otto dal paese per raggiungere le "casere" nel bosco.
Tutti i ragazzi portavano a tracolla una borsa di stoffa che conteneva un paio di panini per il pranzo di mezzogiorno e si raggiungevano le stalle


dove le mucche erano già state munte ed abbeverate  di prima mattina e prima di incontrarci tutti nella radura dove era il punto di concentramento, si provvedeva a spalmare del grasso rancido sulle mammelle delle mucche, altrimenti sarebbero state per tutta la giornata assediate da una nuvola di tafani che sulla pelle delicata avrebbero punto per succhiare il sangue con grosso tormento per le povere bestie, invece il grasso rancido funzionava da repellente contro i tafani.

La mia famiglia non aveva la mucca, così mi aggregavo agli altri ragazzi per passare tutte le belle giornate dell'estate a giocare nei boschi in assoluta libertà e, inoltre, io ero fortunato, perché non avevo la responsabilità del capitale costituito da una mucca.

Si radunava la mandria su un pianoro e poi i più grandicelli decidevano quale era la meta per la giornata e pian pianino ci si avviava in quella direzione al passo lento delle vacche accompagnati dal suono dei campanacci che distinguevano le varie mucche.

Quando si raggiungeva la meta, cominciavano i giochi e non c'era limite alla fantasia.

In una prateria, avevamo deviato l'acqua di un ruscello, poi con le mani e i bastoni per parecchi giorni, abbiamo scavato il terreno in quel punto non sassoso e di terra soffice; lo scavo era diventato profondo almeno una settantina di centimetri e con un diametro di tre, quattro metri ed era diventato "il lago di Versegala" dal nome della località.

Ci sono ritornato l'estate scorsa, dopo oltre mezzo secolo e ancora si vedevano i contorni della nostra pozzanghera scavata un' estate di tanti anni fa e ancora sentivo le voci dei ragazzi di allora e ricordavo i bisticci e piccoli episodi di allora ancora vividi, diverse di quelle voci, ormai sono silenziose per sempre.

In un' altra località si giocava alla guerra fra degli enormi massi misteriosi, lasciati dai ghiacciai di qualche millennio fa.

Ricordo che la parte più umida di quei massi era ricoperta di delicato muschio e fra il muschio correva la radice di una felce che aveva un delicato sapore di liquerizia.

Tutti i ragazzi erano muniti di temperino e uno dei passatempi più in voga, consisteva nell'intagliare dei bastoni di nocciolo.

Si praticavano due tagli paralleli a tre millimetri circa di distanza e della profondità della scorza, questi intagli, potevano essere dei circoli da cui alternativamente si prelevava la scorza, oppure delle serpentine, o delle striscie verticali, ( molto più difficili da realizzare), o dei quadratini come una scacchiera.

Poi questi bastoni venivano lasciati nel caldo umido delle stalle, la scorza rimasta si seccava ed assumeva un bel colore bruno, qualcuno particolarmente abile, riusciva anche ad intagliare delle teste alla sommità del bastone, creando dei piccoli capolavori.

Ogni tanto bisognava controllare che le vacche non si fossero allontanate troppo
e rimanessero vicine, per localizzarle si conosceva il suono dei vari campanacci, poi si conoscevano anche le caratteristiche di ogni animale, ricordo che c'era una mucca (la Galéda si chiamava) la quale non tollerava qualcuno che le passasse davanti e se qualche imprudente lo faceva la vacca lo caricava a testa bassa, allora bisognava darsi alla fuga e riparare dietro una pianta, a volte lo facevamo per gioco, anche se il proprietario non era troppo d'accordo, perché, diceva, che la sera alla mungitura la produzione di latte era più scarsa.

Invece il divertimento vero, quando passava qualche villeggiante che ci guardavamo bene dall' avvisare e la "Galéda" caricava costringendo il malcapitato alla fuga.

Eravamo però abbastanza maturi da intervenire a distrarre la vacca in caso di pericolo.

Poi al seguito c'era anche un montone e ci eravamo accorti che bastava grattarlo in fronte ed il montone abbassava la testa e partiva alla carica sempre dritto, allora il gioco consisteva nel posizionare il montone a una decina di metri da un albero, una grattata e viaaaa... si vinceva quando il montone centrava con la testa  il tronco dell'albero.

Ho avuto una discussione con un' amica, la quale nel suo blog affermava che bisogna andare avanti sempre dritti e io sostenevo che non sempre è conveniente, memore del montone, credo che anche nella vita, non sempre è opportuno avanti dritto.

Queste righe sono una piccole parte della giovinezza nei boschi, episodi da raccontare sarebbero innumerevoli, dalle scorpacciate di frutti di bosco, ai furiosi temporali che si scatenavano nel pomeriggio, alle sigarette che allora vendevano anche sciolte in una caratteristica bustina, tre Nazionali per dieci lire e fumate di nascosto, poi i fiori, i funghi, gli animali selvatici, i nidi di vespa nel terreno che qualcuno andava sempre a tormentare con un bastone e ogni sera qualche altro ritornava a casa con un occhio chiuso dal gonfiore, chissà perché le vespe beccavano sempre vicino agli occhi e lo shock anafilattico era sconosciuto, poiché difficilmente passava giorno senza una vittima delle vespe, ma nessuno è mai deceduto.

Nel pomeriggio, le mucche si avviavano verso le stalle come se avessero un orologio incorporato e in prossimità delle stalle venivano abbeverate,  le mamme provvedevano alla mungitura e noi ragazzi, stanchi per le tante ore  trascorse all'aria aperta, ritornavamo in paese, pronti per la mattina seguente ad un'altra giornata ricca di avventure.
 

7 commenti:

Adriano Maini ha detto...

Ho fatto un'infanzia abbastanza cittadina, ma, tra ricordi tramandati e qualche rara occasione di vacanze in collina, ho respirato un po' della sana aria che tu fai circolare.

rosso vermiglio ha detto...

Io quegli episodi che citi sarei curiosa di leggerli se hai voglia di scriverne. Ho sempre amato la montagna, ma quel mondo per me è sempre stato abbastanza sconosciuto, normale, immagino, non avendolo vissuto. Mi rimane la curiosità.

ale ha detto...

sei speciale! continua per favore...non tralasciare neanche un piccolo ricordo! grazie.

speradisole ha detto...

Carissimo, riconosco nelle foto la "Bruna", un tempo chiamata la "Brunalpina", una razza di mucche da latte particolarmente apprezzata.
Non così in alto come te, ma a livello appenninico, ho avuto anch'io la fortuna di vivere l'aria aperta.
Per me c'erano i frutti (soprattutto ciliegie) ed i vigneti, ma sempre bei posti.
Ciao Sileno, un abbraccio.

Serena ha detto...

Anche nella mia infanzia ci sono i ricordi delle vacche al pascolo. Mio zio ha sempre avuto un allevamento di vacche Frisona e quindi io ci sono "cresciuta in mezzo" coccolandole, parlando con loro e, soprattutto, bevendo il loro latte appena munto!!! Probabilmente uno dei ricordi più belli della mia infanzia!
A presto!

riri ha detto...

Quoto Ale.
Devi continuare a raccontare questi episodi così belli, ricchi di incanto e nostalgia, ti capisco, ti sono dietro,sai che i vicini (a Napoli) avevano una specie di cascina ed io mi divertivo anche a mungere, finchè sono stata con la mia famiglia è stato bello fare un pò di tutto, ma la terra, i boschi, gli animali, quelli li ho portati con me a Torino:-) Un abbraccioe buon inizio settimana.

Pierpaolo ha detto...

Leggo i tuoi ricordi con immenso piacere.. Ne rimango sempre affascinato, ma mi lasci un certo sapor d'invidia in bocca per non essere stato figlio di quei tempi...
Penso che sono qui... così... nella modernità... E che ne so io...

Saluti grande Sile :)