lunedì 30 dicembre 2013

tempo



Tempo

Giorno per giorno, anno per anno, il tempo
nostro cammina! L’ora ch’è sì lenta
al desiderio, tu la tocchi infine
con le tue mani; e quasi a te non credi,
tanta è la gioia: l’ora che giammai
affrontare vorresti, a cauto passo
ti s’accosta e t’afferra – e nulla al mondo
da lei ti salva. Non è sorta l’alba
che piombata è la notte; e già la notte
cede al sol che ritorna, e via ne porta
la ruota insonne. Ma non v’è momento
che non gravi su noi con la potenza
dei secoli; e la vita ha in ogni battito
la tremenda misura dell’eterno.

(Ada Negri)

Molte cose sono sparse ovunque,
con cura io le raccolgo e le unifico.
Ma col passare del tempo
i legami si spezzano
e si sfasciano nella polvere,
nel regno dell'oblio.
E così perdono ogni valore. 
                                              (Rabindranath Tagore)

A tutti coloro che passano AUGURI 
di  orizzonti sempre nuovi  e nuove emozioni!

martedì 24 dicembre 2013

Felicità

Una calda mattinata  estiva della  mia adolescenza mi inoltrai nel bosco per una delle mie usuali passeggiate.

Avevo in tasca un paio di panini per il pranzo di mezzogiorno e un fazzolettone che annodato ai quattro angoli  era un valido contenitore di funghi e poco ingombrante.
Lungo il sentiero che mi portava  in alto,




 ammiravo ogni volta come se fosse la prima volta ogni particolare dal muretto a secco edificato da chissà quante generazioni, oppure i tanti segni di devozione popolare, le tante croci di legno corroso da molti anni di intemperie.




Sapevo quando bisognava fare attenzione perché in quell'area era probabile incontrare qualche vipera, delle quali avevo una vera fobia e dove si trovavano fragole tardive  oppure more o mirtilli.
Praticamene ogni passo mi evocava dei ricordi: quella anziana signora in preghiera che trovavo inginocchiata vicino a quella croce,

 o le quattro parole scambiate con un vecchio combattente della Grande Guerra incontrato mentre ritornava a casa con una fascina di rami secchi sulle spalle.
Mi godevo il canto degli uccelli e, a volte, un' ombra fugace di qualche animale selvatico che spariva rapidamente nel folto della vegetazione.


Il quantitativo  di funghi raccolti era soddisfacente, non tantissimi, ma dei porcini freschi ed anche piuttosto grossi, quando sentii i rintocchi lontani della campana del villaggio nella vallata sottostante   che suonava il mezzogiorno  così decisi di raggiungere una polla di acqua sorgiva.
L'acqua della sorgente era deliziosamente fresca, probabilmente minerale, poiché molti ciottoli erano rossastri di ruggine e di un gusto veramente  appagante  già dopo il primo lungo sorso.



Mangiai con gusto i miei panini, e poi continuai per la mia strada.
Il pomeriggio arrivai in una radura dove l' erba era stata tagliata molto di recente, probabilmente il fieno era stato raccolte il giorno prima, perché nell'aria aleggiava ancora il profumo intenso del fieno appena tagliato, uno dei profumi più buoni che abbia mai sentito, mi sdraiai a terra per percepire ancora più da vicino quegli scampoli di profumo e il profumo della terra madre.
La giornata era calda e serena, qualche refolo di vento muoveva le foglie  e le cime degli abeti, ero in pace con me stesso e sapevo che al termine dell'estate avrei cominciato una vita di lavoro e che nulla sarebbe più stato come prima, ero arrivato ad una svolta della vita, ma ero molto tranquillo e fiducioso e mentre inseguivo i miei pensieri riempendomi gli occhi dell' azzurro del cielo e del verde delle fronde con il mio fazzoletto di funghi accanto, dall'altra parte della valle , portato dal vento mi giunse  l'eco di una  musica struggente, era diffusa dagli altoparlanti di una seggiovia, la canzone  suonata dalla tromba di Eddie Calvert era: "Morgen".
 In quel momento compresi cos'era la felicità: il sole caldo, i profumi della terra, i colori della natura e una musica molto lontana portata dalla brezza.
La vita mi portò poi lontano, la nostalgia era sempre acuta e quando potevo ritornare a casa per qualche giorno di ferie, la radura della felicità mi richiedeva sempre una visita, ma non ritrovai mai più quella sensazione, anche l'erba non venne mai più falciata, chissà da quante generazioni erano andati in quella radura così distante dal paese per poche braccia d'erba, ma anche per quel prato era finito un ciclo, ora è diventato bosco e fatico sempre di più a ritrovarlo,però il ricordo di quelle ore di felicità intensa mi è rimasto indelebile.

Oggi lasciate che sia felice, io e basta,
con o senza tutti, essere felice con l’erba
e la sabbia essere felice con l’aria e la terra,
essere felice con te, con la tua bocca,
essere felice.

Pablo Neruda

martedì 17 dicembre 2013

le mie stagioni:inverno


Vennero i freddi,
con bianchi pennacchi e azzurre spade
spopolarono le contrade.
Il riverbero dei fuochi splendé calmo nei vetri.
La luna era sugli spogli orti invernali.
 (Attilio Bertolucci)

Le rigide temperature  e le copiose nevicate segnalano  che la stagione è cambiata, ma per i bambini portava tanta allegria, ( poi con il passare degli anni tutta l'allegria del dicembre è svanita per lasciare il posto ad altre riflessioni), dicembre significava lunghi pomeriggi sulle neve, interminabili corse con la slitta o con dei rudimentali sci


lungo i pendii, ma anche piedi perennemente bagnati e gelati causa gli stivali di gomma che generalmente indossavamo, mani screpolate e tanto freddo, non esistevano giacche a vento e sconosciuti i guanti, infagottati in abiti striminziti passati attraverso parecchi proprietari, ma a quei tempi eravamo assolutamente indifferenti ai capi firmati.
La sera, per risparmiare sul riscaldamento era uso raggrupparsi nelle stalle a fare il " filò" si diceva, il calore era fornito da un paio di vacche da latte e a volte un vitellino, o una pecora in apposita stia; la luce era fornita da una lampadina da cinque candele con il vetro ottenebrato da polvere e cacche di mosca, le lampadine non potevano essere più potenti poiché la corrente erogata da una apparecchiatura detta limitatore di consumi era tale che appena si superava il ridotissimo consumo consentito la lampada si accendeva e spegneva ad intermittenza.
In quella penombra in quell'aria calda e umida c'era in sottofondo il ruminare continuo delle mucche, ogni tanto il tonfo sordo  delle deiezioni di vacca che si spiaccicavano sull'acciottolato del pavimento, l' odore della stalla era forte, ma non sgradevole, forse perché faceva parte della nostra vita,
Le donne sferruzzavano 



in continuazione per sfornare calzettoni e maglioni di ruvida lana , gli uomini, generalmente anziani, riparavano rastrelli ed altri attrezzi in legno con l'ausilio di un rustico coltello, i chiodi erano inesistenti, quasi tutto era ad incastro, ( i chiodi costavano, ma il legno era gratis) e la serata passava chiacchierando, generalmente sparlando di qualche assente, oppure  di sesso, ma con molte allusioni perché i bambini presenti non capissero, però i bambini drizzavano bene le orecchie, già verso i sette/otto anni sapevano già quello che gli adulti tentavano di occultare e non esisteva l'educazione sessuale, ma l' attenta osservazione del mondo che ci circondava e le confidenze degli amici e ancora di più quelle delle coetanee che erano più emancipate  di noi, sopperivano alla mancata educazione sessuale.
Altro genere di argomenti che tenevano banco erano i racconti macabri di morti e spiriti vari che vagavano da quelle parti e di chi li aveva malauguratamente incontrati, poi quando si tornava a casa la paura ci attanagliava.
Ricordo che verso gli otto anni la maestra ci raccontava dei lupi in Abruzzo che d'inverno scendevano nei paesi; io dopo l'imbrunire dovevo andare a prendere il latte da una signora a 10/15 minuti di strada, c'era un minimo di illuminazione pubblica, qualche lampada da 25 candele  ogni cinquantina di metri e lunghi tratti di buio;


 io  ero terrorizzato per la paura di incontrare qualche lupo anche se mia madre ed altri grandi  cercavano di tranquillizzarmi raccontandomi che i lupi erano da qualche altra parte molto distanti, ma io pensavo che potevano pure sbagliare strada ed io trovarmeli davanti.
A dicembre cominciavano le feste, prima santa Barbara patrona dei minatori, che poi era anche il giorno del mio compleanno e al mio paese quasi tutti avevano  lavorato o lavoravano nella miniera  di pirite ai piedi della montagna, il sei dicembre giorno di san Nicolò che portava i regali ai bambini e grandissime le aspettative, poi la mattina un paio di mandarini un libriccino o un  giocattolo di latta e una bambola di pezza per le bambine.


La grande festa era il natale con l'evento straordinario della messa mezzanotte, con le melodie natalizie dolci e coinvolgenti, l'abete addobbato la vigilia e con candeline vere di cera accese e qualche cioccolatino avvolto in stagnola variopinta e la mattina dopo altra sorpresa di regali più consistenti rispetto a san Nicolò: per i bambini generalmente il "Meccano" che poi consentiva la costruzione di una infinità di oggetti.
Il Capodanno allora era uso andare a fare gli auguri ai parenti e in cambio si riceveva la "Buona mano", ossia un moneta da 50 lire e se andava benissimo anche 100 lire, ma questo evento era molto raro e capodanno era l'occasione di ricevere e disporre di qualche soldo, poi solitamente destinato all'acquisto di un temperino e qualche biglia.
La vigilia dell 'Epifania  dopo il crepuscolo e anche la sera dell' Epifania era d'uso accendere dei grandi falò 


su qualche altura e visibili dai villaggi più distanti, si festeggiavano cantando, si faceva a gara fra i villaggi per avere il coro più bello e che si sentiva più distante possibile.
I falò si accendevano per illuminare la strada ai re Magi si diceva, ma il 7 gennaio il sole, per la prima volta dal solstizio d'estate, nasce un minuto prima, ( mentre tramonta un minuto dopo già dal 13 dicembre giorno di santa Lucia), i falò risalgono a molto prima del cristianesimo, nella notte dei tempi, e sono un omaggio e un saluto al Dio Sole e alla vita che ricomincia.
Di quegli inverni ricordo


 quelle camere da letto  gelide con la temperatura sotto lo zero e la mattina quando ci si alzava il vetro della finestra era un arabesco di ghiaccio dovuto all'umidità del respiro e al gelo, ricordo le nevicate notturne quando il mondo appariva più ovattato e una foca luce bianca  filtrava dalle fessura delle imposte, sentivo quando verso mezzanotte i minatori ritornavano dal turno del pomeriggio alla  miniera e si sentiva il rumore dei ramponi che mordevano la neve, mentre la luce vivida delle lampade ad acetilene proiettava delle lunghe ombre mobili sui muri della camera, poi i saluti sussurrati e il tonfo di una porta che si richiudeva.
La mattina venivo svegliato da una vicina che scendeva il ripido viottolo sotto le finestre con passi lunghissimi e veloci trascinando a lungo  i ramponi sulla neve  prima di poggiare il piede, la sua camminata era famosa e anche dall'altra parte del villaggio si riconosceva il suo passaggio dall' impronta lasciata sul ghiaccio  o sulla neve battuta dai suoi ramponi.
Verso le sei e mezzo si sentiva il suono più fioco della campana che chiamava alla messa mattutina , tutti i ragazzi erano chierichetti, ( anche per motivi economici, servire messa rendeva qualche soldo ),
andavo a messa sprofondando nella neve fresca ed immacolata o quasi, perché venivo preceduto da un amico e coetaneo figlio del sacrestano del quale ho già narrato in altro post, ma mi ripeto:
L'estate dei suoi sei anni durante la fienagione era stato punto da una vespa od un calabrone sulla punta  del pisellino, si era ostruito il canale uretrale, ma la famiglia per le scarse condizioni economiche, anziché portarlo dal medico, lo portò da una praticona che con un ago arroventato fece un foro di lato all'ostruzione per consentirgli di urinare, ma le sue minzioni duravano diversi  minuti, così sulla neve fresca della strada che portava alla chiesa si vedeva una lunga striscia gialla ininterrotta che finiva a lato della chiesa con una serie di ghirigori gialli.
E come già scrissi: la sua gialla impronta con il passare degli anni non si vedeva più dalla parte della chiesa, ma in prossimità di qualche osteria e nel mezzo del cammin di nostra vita, la cirrosi gli diede la pace.
La chiesa era gelida, illuminata da poche candele e qualche lampada,



 qualche bimbo mezzo addormentato sui banchi attorno l'altare, il vecchio prete con i capelli candidi che salmodiava, qualche vecchina, sempre le solite, che cantavano gli inni ed il persistente profumo dell'incenso che aleggiava, poi ancor prima dei diciotto anni, la mia strada di emigrazione mi portò per il mondo, ebbi la fortuna di conoscere molte persone  che mi arricchirono culturalmente, ma la chiesa  non mi ebbe più tra i frequentatori e nemmeno fra i credenti, altre prospettive mi si erano aperte, però un po' di nostalgia per quegli odori e suoni antelucani mi è rimasta.
E  anche tutte le consuetudini, i suoni,le voci di tante persone conosciute con i loro pregi ed i loro tic sono rimasti solo nei ricordi





E ancora la notte d'inverno,
e la torre del borgo cupa con suoi tonfi,
e le nebbie che affondano il fiume,
e le felci e le spine. O compagno,
hai perduto il tuo cuore: la pianura
non ha piu spazio per noi.
Qui in silenzio piangi la tua terra:
e mordi il fazzoletto di colore
con i denti di lupo:
non svegliare il fanciullo che ti dorme accanto
coi piedi nudi chiusi in una buca.
(Salvatore Quasimodo)

giovedì 12 dicembre 2013

conchiglia

Sul chiuso quaderno
di vati famosi,
dal musco materno
lontana riposi,
riposi marmorea
dell’onde già figlia,
ritorta conchiglia.

 (Giacomo Zanella)




Una splendida serata di dicembre e tra i ciottoli del Piave uno attira la mia attenzione, è appena fratturato e all'interno si scorgono due conchiglie
 e penso da quanto tempo, chiuse nel loro scrigno, attendevano che un occhio umano si posasse, poi sono passato io.







giovedì 5 dicembre 2013

passeggiata decembrina




Non v'è cosa nei campi o nei giardini
che non contenga, a guardarla, serena
la sostanza di cose che si sperano
in primavera, e la testimonianza
dell'estate invisibile

(Coventry Patmore)



dalle nevi


ai pascoli

lo smog sopra la città


il tramonto

Ma quando nel bosco si fece
buio e soffiò da oriente un vento
freddo e penetrante, tutto tacque.
Sulle pozzanghere si allungarono
degli aghetti di ghiaccio.
Il bosco divenne squallido, solitario.
Si senti l'odore. dell'inverno.
 (Anton Checov)

lunedì 25 novembre 2013

le mie stagioni: L'autunno






 
Il tempo si era guastato, pioveva spesso, ora in

rovesci improvvisi, ora in uno spolverìo fine e

penetrante che era quasi una nebbia; i sentieri

erano fangosi, e i boschi emanavano

un odore pungente di funghi

che faceva già presagire l'autunno.
 (Primo Levi)




Sulla montagna l'autunno lo sentivi nel sangue già i primi giorni di settembre e forse la fine dell'estate era decretata dalla "lessada"  della quale ho già scritto in altro post.
La lessada consisteva in un picnic, ( come si direbbe oggi), in una radura nei boschi, mentre l'estate era d'obbligo la polenta per la lessada si usavano invece  patate novelle e pannocchie di granturco e zucche lesse da cui il nome "lessada".


Generalmente prima si mangiavano le patate lesse con formaggio e salame e, a volte, del radicchio  tagliato a striscioline con qualche fettina di cipolla e condito, un piatto delizioso con le patate, ma non sempre disponibile poiché richiedeva piatti e terrine, troppo ingombranti e fragili da trasportare, allora non esistevano i piatti di plastica arrivati qualche anno più tardi negli anni del consumismo
L'ingrediente principe era la pannocchia



 che veniva lessata oppure abbrustolita sulla brace e si mangiava a  chiusura del pasto.
Nel bosco si avvertivano i segni della fine estate, il sole percorreva una curva più bassa e le ombre erano molto più lunghe, la guazza persisteva per tutta la giornata nelle zone d'ombra, era facile trovare famigliole di funghi autunnali, e i colori del bosco erano diversi,

 il verde pisello  tenero della primavera e inizio estate era molto più scuro, l' erba cominciava ad ingiallire, non si udivano più trillare gli uccelli e sembrava che perfino i suoni usuali della foresta fossero diversi, più  cupi e sospesi, si avvertiva che un ciclo era giunto alla sua conclusione.
L'autunno era anche il tempo della raccolta della legna da ardere, un bene indispensabile per la vita in montagna, perché era l'unico combustibile a disposizione e di legna ne serviva in abbondanza per riscaldare le modeste abitazioni nel lunghissimo inverno che stava arrivando.
Gli anziani insegnavano che le piante andavano tagliate con la luna calante in tardo autunno quando la linfa non circolava, così si sarebbero seccate alla perfezione con una ottima resa calorica, altrimenti se venivano tagliate in altri periodi dell'anno avrebbero bruciato con poca fiamma  e  sarebbero marcite nelle cataste e indubbiamente sapevano bene quanto affermavano.
In quegli anni non esistevano motoseghe e tutto il lavoro veniva eseguito manualmente  ed un lavoro molto faticoso e pericoloso, compito dei ragazzi era di affastellare la ramaglia in grandi mucchi e poi coadiuvare i grandi per portare la legna a casa.


Il primo ottobre iniziava l'anno scolastico e tutti i bimbi a scuola con le cartelle nuove fiammanti,  un paralellepido col marchio dal nome altisonante di: "Pura fibra"  che ci rendeva orgogliosi ( ignoravamo che si trattava di volgarissimo cartone), poi in poco tempo le cartelle si sarebbero deteriorate a causa degli usi impropri a i quali le sottoponevamo ad esempio come slittino sui declivi vicino alla scuola, scivolavano bene anche sull'erba bagnata.


A novembre molto sentita era la giornata di san Martino il santo dei poveri, la vigilia era d'uso per i bambini girare in gruppetti per il paese ed evento straordinario dopo la cena, per questuare, ( questa era una tradizione arcaica  che veniva da tempi remoti, di probabile origine celtica, persa poi negli anni del benessere o meglio del consumismo e reintrodotta recentemente come "Halloween", perdendo lo spirito originario per diventare consumismo e moda); il gruppetto si fermava davanti alla porta  e cantilenava delle zoppicanti filastrocche  tipiche per san Martino che risalivano chissà a quante generazioni precedenti, finché qualcuno si affacciava all'uscio e ci regalava  qualche frutto , qualche castagna o qualche biscotto.
A volte qualche porta non si apriva ed allora c'era una filastrocca anche per quella famiglia  che diceva, ( ma in dialetto):
San Martin dalla capra rossa,
non si sa quanto che costa,
se costa un tarantan
sulla porta di un villan.
E poi via!
Nel buio profondo dei villaggi, ( mancava l'illuminazione pubblica) era anche l'occasione buona di combinare qualche marachella e venivano particolarmente presi di mira i personaggi asociali,quelli che erano sempre pronti a vietare ai bambini di giocare nelle vicinanze, sempre pronti a sbraitare per futili motivi come il chiasso momentaneo durante un gioco,  quelli che se ti prendevano te l'avrebbero fatta pagare a sberle e calcioni, allora passando davanti a quelle case un bel lancio di frutti nelle finestre a volte con qualche vetro in frantumi e poi via di corsa.
Il giorno dopo a scuola indagini di maestri e della guardia comunale per scoprire i colpevoli, ma sempre senza esiti, l'omertà imperava e anche chi sapeva, ma non c'entrava niente con la marachella, se ne stava ben zitto per solidarietà.
Non edificante questa ultima parte, ma queste cose succedevano.
 Novembre era anche il mese delle burrasche, " brentane" venivano chiamate ed erano molto pericolose in quei paesini aggrappati alle pendici di qualche monte.
Tutti i ruscelli ed erano molto numerosi, solitamente quieti diventavano dei torrenti impetuosi e vorticosi neri dalla terra che erodevano, 


anche il vento urlava impetuoso e si sentivano gli schianti delle piante spezzate o sradicate, eventi molto pericolosi poiché ostruivano il defluire delle acque diventando delle pericolose dighe che quando poi cedevano aumentavano fortemente  il flusso, oppure incanalavano le acque fuori dell'alveo naturale  con esiti disastrosi per le abitazioni sottostanti, guardando in alto dalle finestre di casa si vedevano i prati sui declivi che cominciavano a franare  a volte piccoli mucchi di terra, a volte frane  molto estese; di notte gli uomini uscivano in squadre  per intervenire  e cercar di contenere negli argini i torrenti che mangiavano terra muretti sassi dilagando improvvisamente, ma la paura si avvertiva il tardo pomeriggio con il calare del buio e buio totale anche perché le linea elettrica che arrivava in paese era interrotta fin dall'arrivo del vento e la luce era data dalle candele, qualche lanterna a petrolio che le donne usavano durante la mungitura e dalle lampade ad acetilene dei minatori.
Come bambini ci sentivamo protetti e non avvertivamo il senso di paura dei grandi, ma poi ho capito perché con il calare delle tenebre molti uscivano sull'uscio con la paletta per il fuoco piena di brace sulla quale venivano bruciate le foglie di ulivo benedette la domenica delle palme e che si trovavano in ogni famiglia sopra ogni letto assieme al crocifisso e tutti pregavano per esorcizzare la brentana durante la notte.
Quando poi cessava la pioggia si faceva il giro del paese per vedere i danni, i ponti spariti, qualche tetto scoperchiato, abeti troncati, muri parzialmente crollati erosi dal torrente, frane  e melma a non finire, da ogni muretto a secco fatto dagli antenati per contenere  ed alzare il livello della terra, continuava per diversi giorni a sgorgare l'acqua che impregnava i prati e molte persone desolate  per i danni subiti, a volte si sapeva che qualche persona conosciuta anche di paesi vicini non sarebbe più tornata a casa travolta dall'acqua o  dal fango e poi, anche molti anni dopo, si diceva:" Ti ricordi quell'anno che  è morto il Piero Y. oppure anche che si è spezzato il pero del D.?" e allora in un attimo riaffioravano alla memoria tutti i fatti salienti di quell'anno e di quella brentana.
 A fine novembre la temperatura rigida portava le prime nevicate attese trepidamente  e le prime discese con lo slittino e tanto chiasso e voglia di vivere, perché la vita continua.



 
Passano nella nebbia

un contadino e il suo bue..

lentamente nella nebbia d'autunno

che nasconde i poveri tuguri.

E, mentre s'allontana,

il contadino canta una canzone triste

Oh, l'autunno, l'autunno

ha sepolto l'estate.

Passano nella nebbia

due figurine grigie.
 (Guillaume  Apollinaire)


venerdì 15 novembre 2013

le mie stagioni:" L'estate"

Le sere blu d'estate,andrò per i sentieri
graffiato dagli steli,sfiorando l'erba nuova:
ne sentirò freschezza,assorto nel mistero.
Farò che sulla testa scoperta il vento piova.
Io non avrò pensieri,tacendo nel profondo:
ma l'infinito amore l'anima mia avrà colmato,
e me ne andrò lontano,lontano e vagabondo,
guardando la Natura,come un innamorato.

(Arthur Rimbaud) 

Si cominciava a pregustare l'estate ancora a maggio, le giornate diventavano lunghissime, le notti tiepide e l'erba cresceva rigogliosa.
La scuola si frequentava con una certa svogliatezza pensando che non mancava molto alle vacanze estive.
A giugno c'era la sagra del paese in onore di sant' Antonio; era una sagra molto sentita  nella vallata, per l'occasione arrivavano due giostre e tre/quattro baracconi del tiro a segno, la sera della vigilia arrivavano a piedi i pellegrini, anche da paesi molto distanti e chiedevano ospitalità, accontentandosi di dormire nei fienili, poi da più grandicello, venni a conoscenza  che  nel fieno tiepido e profumato Eros era in agguato e, a volte, galeotto fu il pellegrinaggio, perché qualche pancione  cominciava a crescere durante l'estate, 
Verso la metà di giugno il bestiame veniva traslocato nelle baite in alto



 e lasciato libero di pascolare nelle radure dei boschi, il compito di accudire gli armenti era dei bambini, significava passare intere giornate a giocare nei boschi, mangiando un paio di panini che  si portavano da casa e tempo di marachelle a non finire.
Durante l'estate bisognava anche aiutare i grandi per la fienagione,



 questo era un lavoro abbastanza pesante e anche noioso, di contro però si ascoltavano i discorsi dei grandi che generalmente parlavano di sesso convinti che i piccoli non capissero, invece i piccoli erano molto, molto precoci.
Nel periodo estivo i ragazzi figli di minatori venivano inviati in colonia dalla Montecatini, di quei periodi ho ancora dei vividi ricordi: gli sbuffanti treni a vapori e la sete feroce durante le lunghe ore di viaggio fino in Romagna,

 
 la forte nostalgia di casa in quelle tre settimane durante le quali si era irreggimentati, noi che conoscevamo la gioia della libertà e dell'autonomia, ( per la nostalgia l'ultimo periodo di colonia avevo sopperito portandomi da casa una scatoletta di magnesia san Pellegrino riempita di terra del mio cortile) , poi ricordo ancora lo stupore che provavo al ritorno a casa nel vedere quanto era cambiato il paesaggio per l'evolversi della stagione.
L'estate era anche tempo di funghi e frutti selvatici



 quasi quotidianamente le mie escursioni, ( quando avevo giornate libere), mi consentivano di ritornare a casa con il mio fazzolettone legato per le quattro cocche e con un bel contenuto di porcini e finferli, un piatto delizioso  con la polenta.
Dell'estate mi resta sempre un'acuta nostalgia delle sere passate nel villaggio, sulle panche davanti alle case, chiacchierando e  mirando le cime dei monti che si arrossavano al tramonto, virando poi al violaceo e la luna che spuntava dalla montagna e le lucciole che rallegravano le sere del solistizio e il profumo intensissimo del fieno appena colto che fermentava nei fienili e il martellare ritmico del falciatore che "batteva la falce" sul maglio per ridare il filo tagliente e l'odore resinoso del fumo della legna che bruciava nei focolari e le risate dei bambini che si rincorrevano fra i cumuli del fieno nei prati appena falciati e i potenti temporali estivi e la gioventù che mi stava lasciando per la responsabilità di dovermi allontanare  dal calore degli affetti che mi circondavano per emigrare da solo in città e fra gente sconosciuta alla ricerca del mio futuro



 Delle quattro stagioni dell'anno
l'estate è la più chiara e la più
ardente, fa maturare i frutti
e sparge risa e luce.

Com'è bello, discendendo al fiume,
fermarsi sopra l'acqua,
per ascoltare in lontananza il cuculo,
per vedere la giovane luna..

(Nikolay Aseev)